Hai scritto il 27 aprile 2009 alle 21.33 su facebook nella pagina dedicata alle proposte per il convegno giovanile diocesano:
Nella pagine di questo spazio internet sono aperte (sino ad ora) 3 discussioni: una che chiede di suggerire idee al Vescovo Luciano, una che invita a riflettere sulla pastorale giovanile oltre l'oratorio e l'ultima che si interroga su cosa FARE in oratorio.
Sono tutti argomenti strettamente correlati e mi sembra che gli ultimi due possano fornire "risposte" al primo quesito. Ovvero se la meta è pensare la pastorale dentro e oltre l'oratorio, in funzione della meta si definiranno le idee che portano ad incontrare come Chiesa TUTTI i giovani.
Quindi concentrerò la mia attenzione sulla pastorale, presentando il mio modesto punto di vista, di educatore e di non + giovane (sono arrivato a 31 e mi sento un po' adulto!). Opinioni che mi sono creato con l'esperienza e con il "sentore". A tal riguardo mi piacerebbe invitare chi gestisce questo gruppo a fornire dei dati oggettivi sulla vita e sulla vitalità degli oratori, e sulla pastorale posta in essere. Potrebbero costituire un buon punto di partenza per avere opinioni + precise meno dettate dal "mi pare" e quindi + realistiche. Quando questi dati saranno noti forse anche molte mie parole saranno fuori luogo, per ora prendetele così: come un primo lancio.
Credo sia sotto gli occhi di tutti un certo abbandono degli oratori da parte dei giovani (intendendo la fascia 18-30), l'oratorio non è più la casa del giovane, definizione ormai desueta, da cui però mi piacerebbe ripartire.
Definire l'oratorio una casa vuol dire dotarlo di tutto quanto fa casa, in primis: persone accoglienti che ti amano e ti perdonano (come in una famiglia), poi spazi di vita comune: il salotto, la cucina. Spazi di riflessione: lo studio. Spazi intimi: la camera, il bagno. Spazi protettivi: il tetto.
Riprendo e chiarifico - se riesco!- quanto espresso con metafore:
I nostri oratori sono abitati da persone accoglienti? Come la Chiesa si relaziona/si presenta ai giovani? (un convegno potrebbe chiederselo!)
Usiamo la morale come metodo educativo o la poniamo come obiettivo da raggiungere? (un convegno potrebbe chiederselo!)
Curiamo gli spazi di vita comune? Ovvero il bar offre "cose sane" (prodotti bio - solidali - alcool si alcool no...) o semplicemente è identico a qualunque esercizio commerciale? Il "salotto" presenta intrattenimenti "intelligenti" o è simile a qualunque sala giochi? (un convegno potrebbe chiederselo!)
Esistono degli spazi di riflessione culturalmente alti? (un convegno potrebbe chiederselo!)
Si cura la spiritualità dei giovani dando spazio al cammino personale di ciascuno, alla relazione con la Parola? (un convegno potrebbe chiederselo!)
Si difende la vita prima che la fede? L'oratorio può essere anche un rifugio x chi sbaglia? (un convegno potrebbe chiederselo!)
Ho posto molte domande perché credo sia importante il confronto x costruire un sentire comune sulla pastorale, perché la Chiesa si presenti con un solo volto.
Questo il pensiero relativo alla vita nel e dell'oratorio, guardando fuori mi vien da dire che mi piacerebbe una Chiesa che interroga e discerne con la società civile tutta (scuola, amministrazioni, associazioni...) come essa si pone di fronte ai giovani. E' consapevole di essere educativa per natura? Cioè testimone 24 su 24 di stili di vita che i giovani fanno loro.
Infondo si pretende che i giovani siano diversi da come siamo noi, ma noi non cambiamo e quindi nemmeno loro. Resta così fissa quella distanza generazionale ben espressa da Italo Calvino: "La vera distanza tra due generazioni è data dagli elementi che esse hanno in comune e che obbligano alla ripetizione ciclica delle stesse esperienze, come nei comportamenti delle specie animali trasmessi come eredità biologica; mentre invece gli elementi di vera diversità tra noi e loro sono il risultato dei cambiamenti irreversibili che ogni epoca porta con sé, cioè dipendono dalla eredità storica che noi abbiamo trasmesso a loro, la vera eredità di cui siamo responsabili, anche se talora inconsapevoli. Per questo non abbiamo niente da insegnare: su ciò che più somiglia alla nostra esperienza non possiamo influire; in ciò che porta la nostra impronta non sappiamo riconoscerci."
Grazie, Alessandro.
(Vicepresidente del settore giovani di Azione Cattolica - Brescia)
Nella pagine di questo spazio internet sono aperte (sino ad ora) 3 discussioni: una che chiede di suggerire idee al Vescovo Luciano, una che invita a riflettere sulla pastorale giovanile oltre l'oratorio e l'ultima che si interroga su cosa FARE in oratorio.
Sono tutti argomenti strettamente correlati e mi sembra che gli ultimi due possano fornire "risposte" al primo quesito. Ovvero se la meta è pensare la pastorale dentro e oltre l'oratorio, in funzione della meta si definiranno le idee che portano ad incontrare come Chiesa TUTTI i giovani.
Quindi concentrerò la mia attenzione sulla pastorale, presentando il mio modesto punto di vista, di educatore e di non + giovane (sono arrivato a 31 e mi sento un po' adulto!). Opinioni che mi sono creato con l'esperienza e con il "sentore". A tal riguardo mi piacerebbe invitare chi gestisce questo gruppo a fornire dei dati oggettivi sulla vita e sulla vitalità degli oratori, e sulla pastorale posta in essere. Potrebbero costituire un buon punto di partenza per avere opinioni + precise meno dettate dal "mi pare" e quindi + realistiche. Quando questi dati saranno noti forse anche molte mie parole saranno fuori luogo, per ora prendetele così: come un primo lancio.
Credo sia sotto gli occhi di tutti un certo abbandono degli oratori da parte dei giovani (intendendo la fascia 18-30), l'oratorio non è più la casa del giovane, definizione ormai desueta, da cui però mi piacerebbe ripartire.
Definire l'oratorio una casa vuol dire dotarlo di tutto quanto fa casa, in primis: persone accoglienti che ti amano e ti perdonano (come in una famiglia), poi spazi di vita comune: il salotto, la cucina. Spazi di riflessione: lo studio. Spazi intimi: la camera, il bagno. Spazi protettivi: il tetto.
Riprendo e chiarifico - se riesco!- quanto espresso con metafore:
I nostri oratori sono abitati da persone accoglienti? Come la Chiesa si relaziona/si presenta ai giovani? (un convegno potrebbe chiederselo!)
Usiamo la morale come metodo educativo o la poniamo come obiettivo da raggiungere? (un convegno potrebbe chiederselo!)
Curiamo gli spazi di vita comune? Ovvero il bar offre "cose sane" (prodotti bio - solidali - alcool si alcool no...) o semplicemente è identico a qualunque esercizio commerciale? Il "salotto" presenta intrattenimenti "intelligenti" o è simile a qualunque sala giochi? (un convegno potrebbe chiederselo!)
Esistono degli spazi di riflessione culturalmente alti? (un convegno potrebbe chiederselo!)
Si cura la spiritualità dei giovani dando spazio al cammino personale di ciascuno, alla relazione con la Parola? (un convegno potrebbe chiederselo!)
Si difende la vita prima che la fede? L'oratorio può essere anche un rifugio x chi sbaglia? (un convegno potrebbe chiederselo!)
Ho posto molte domande perché credo sia importante il confronto x costruire un sentire comune sulla pastorale, perché la Chiesa si presenti con un solo volto.
Questo il pensiero relativo alla vita nel e dell'oratorio, guardando fuori mi vien da dire che mi piacerebbe una Chiesa che interroga e discerne con la società civile tutta (scuola, amministrazioni, associazioni...) come essa si pone di fronte ai giovani. E' consapevole di essere educativa per natura? Cioè testimone 24 su 24 di stili di vita che i giovani fanno loro.
Infondo si pretende che i giovani siano diversi da come siamo noi, ma noi non cambiamo e quindi nemmeno loro. Resta così fissa quella distanza generazionale ben espressa da Italo Calvino: "La vera distanza tra due generazioni è data dagli elementi che esse hanno in comune e che obbligano alla ripetizione ciclica delle stesse esperienze, come nei comportamenti delle specie animali trasmessi come eredità biologica; mentre invece gli elementi di vera diversità tra noi e loro sono il risultato dei cambiamenti irreversibili che ogni epoca porta con sé, cioè dipendono dalla eredità storica che noi abbiamo trasmesso a loro, la vera eredità di cui siamo responsabili, anche se talora inconsapevoli. Per questo non abbiamo niente da insegnare: su ciò che più somiglia alla nostra esperienza non possiamo influire; in ciò che porta la nostra impronta non sappiamo riconoscerci."
Grazie, Alessandro.
(Vicepresidente del settore giovani di Azione Cattolica - Brescia)
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